Claudio Cattaneo  
 
di Rossana Bossaglia
 
In questi tempi si è fatta via via più intensa, nella raffigurazione artistica, una ripresa del naturalismo di matrice secentesca, o meglio ancora tardo-cinquecentesca: per intenderci ispirato al Caravaggio.
Un naturalismo, dunque, che ha per oggetto il mondo vegetale, ma non tanto nella sua freschezza evolutiva, quanto piuttosto isolato dal contesto vitale e mostrato nella sua bellezza inerte; è quel che intende esprimere la definizione di “natura morta”, anche se proprio questa definizione contraddice l’effetto comunicativo dell’immagine rappresentata.

Per esibire il mondo naturale ancora nella sua fragranza, ma staccato dal rapporto con il nutrimento venuto dalla terra, esso è elegantemente raccolto in gruppi omogenei disposti su piatti, vassoi e così via; ancora denso di bellezza vitale, ma l’isolamento dal contesto dinamico degli eventi lo blocca e ne fa simbolo di sé.

Cattaneo riprende questa lettura caravaggesca, estrapolata in parte dal rapporto con i suoi modelli sopratutto per via del blocco scenografico dell’illuminazione – e qui parliamo in specie delle ultime opere da lui compiute, quelle che si esibiscono nella presente mostra. La sapienza della modellazione e il puntiglioso stretto rapporto con il realismo delle immagini sono, per così dire, trasfigurati dagli effetti teatrali della luce che in genere piove dall’alto; mentre essa conferisce una speciale tridimensionalità alle figure, dunque una corposità fisica, le isola dal contesto quotidiano.

Va però precisato che, contemporaneamente a questi effetti, nella recente sequenza di dipinti l’artista tratta anche soggetti di esplicita e moderna fisionomia quotidiana, inserendosi nella tradizione novecentista o della “nuova oggettività”. Con un’insistenza particolare sui temi del consueto; il nudo per esempio non tanto è trattato come soggetto erotico, ma come una semplice registrazione delle abitudini correnti.

Va in ogni caso accettato il riferimento che l’artista – acuto teorico di se stesso – fa a proposito delle proprie radici lombarde, da lui identificate soprattutto nell’opera del Savoldo.
Concludendo queste sommarie note interpretative, vorrei sottolineare che in ogni caso emerge intensamente nell’opera di Claudio Cattaneo la sublimazione trasfiguratrice; per spiegarmi meglio: come sempre nella produzione artistica così definibile, non c’è realismo o precisione descrittiva che non si sublimi nell’uso creativo del linguaggio estetico.
D’altra parte, non c’è argomento simbolico che non espliciti la sua origine realistica e, in ogni caso, che non sappia coinvolgerci traducendo dirette emozioni di vita. Si guardi al muso del toro che si affaccia a scrutare il sogno di Pasifae; c’è nel suo occhio eccitato una tensione sensuale perfettamente espressa: D’Annunzio direbbe “tutto l’amor del mondo”.
 
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